25 Dic Auschwitz è dentro di te
Più parole conosciamo e più siamo in grado di descrivere il mondo, di vederlo più grande e di scorgere segnali di luce divina in ogni dove. La parola non ha poteri magici, ma sembra non saperlo.
Le 22 lettere dell’alfabeto ebraico formano tutto quello che è e che sarà. Sono segnali che indicano la via per capire il senso dei mondi. Non è magia, fosse soltanto perché questa – semmai esistesse – sarebbe stata creata ben dopo le lettere. I maestri di Israele, commentando il primo capitolo della Genesi, dicono che D-o ha creato il mondo con dieci parole e questa idea, ancorché poetica e capitale, non rende giustizia a ciò che le lettere e le parole rappresentano. Le parole di D-o non creano solo il mondo, non servono soltanto a separare le acque superiori da quelle inferiori.
Rabbi Uri dice che la miriade di lettere della Tōrāh sono la miriade di anime di Israele e che, come le lettere, anche le anime devono collegarsi e come le lettere che non devono toccarsi, ogni anima ha bisogno di restare da sola con il proprio creatore. Le lettere e le parole sono il fuoco vivo che consente l’intimità con D-o, il dialogo più sincero, senza alcun filtro.
Le parole come ponte al di sopra di tutto
Ogni filosofia e ogni religione pone le parole al centro. Alla raccomandazione di farne buon uso viene associato la susseguente di fare in modo che alle parole seguano i fatti che queste descrivono. Le lettere ebraiche vanno oltre, diventano già azione pronunciandole. Questo è il valore aggiunto della meditazione sulle lettere ebraiche o sui nomi di D-o, trasformano l’essere vivente. Le lettere ebraiche non sono soltanto elementi essenziali per la nascita del mondo, sono essenziali anche per la sua esistenza.
Le lettere e le parole costruiscono ponti, costruiscono dialogo, realtà tanto nel mondo fisico quanto in quello esoterico: di quante cose non conosceremmo l’esistenza se non ci fossero parole per descriverle? E quante cose non conosciamo perché non abbiamo ancora trovato le parole per spiegarle? Anche in queste ultime c’è la Shekhinah, intesa come lo spirito nella materia, l’ovunque in cui D-o trova la sua dimora. Poiché D-o è in ognuna delle lettere ebraiche, tutto ciò che queste formano porta con sé D-o e per trovarlo, per accorgersi che c’è D-o, è sufficiente aprire lo sguardo in modo nuovo sulle cose del mondo. Per farlo, per poterle descrivere, afferrare e intenderle servono – ancora una volta – le parole.
Le lettere ebraiche non sono solo segni e non sono solo suoni, sono un potenziale già espresso e comunque ancora sempre da esprimere, un frutto la cui polpa non finisce e che si conserva per le interpretazioni future.
La scrittura di D-o
La Torah, ricevuta sul Monte Sinai da Mosè, è stata scritta dal dito di D-o. In quell’occasione D-o ha usato le parole per manifestarsi nel suo pensiero e nella sua vicinanza all’uomo. Ha, per creare una parafrasi imprecisa ma efficace, lasciato il suo stato incorporeo per scrivere le tavole e le impronte di questa sua metamorfosi sono proprio le lettere con le quali ha vergato la Legge. Sul Sinai D-o si è incarnato nelle lettere.
In questa metamorfosi metafisica risiede il potere che le parole hanno nella scrittura e nella costante riscrittura dei codici interiori dell’uomo, della realtà che decide di vivere.
Il potere delle parole
Le parole hanno un potere dal punto di vista religioso, dal punto di vista mistico (esoterico) ma anche dal punto di vista letterale. Più parole si conoscono e più il mondo appare dettagliato: più sinonimi si conoscono e più la realtà si manifesta come unica e univoca, guai a chiamare più cose con lo stesso nome, tutto diventa uguale e quindi saltano le logiche dell’importanza e del valore.
Per lo Zohar, l’Albero della Vita trasforma le acque amare in acque dolci. Con le parole si trasformano i momenti amari dell’esistenza in momenti dolci. Le parole danno un senso, lo insegna Giobbe il quale, messo a dura prova da D-o, ha palesato l’accettazione dei suoi supplizi spiegando che, così come ha ricevuto di buon grado ciò che il divino gli ha dato, è disposto a fare altrettanto con ciò che gli viene tolto. Le parole hanno lenito il dolore, riempiendolo di senso e di proprietà.
È relativo che le parole diventino materia, è importante che rimangano ben salde nel nostro spirito. Sul mondo esteriore l’uomo non ha potere, è nel mondo interiore che l’essere umano può trovare la sua dimensione. Osservando il mondo esteriore si può trovare il divino in ogni cosa, nel mondo interiore opportunamente creato e levigato con le parole, l’essere umano può fare albergare la Shekhinah, può sentirsi vicino a D-o per percepirlo al suo fianco. Passo dopo passo, parola dopo parola. Poco importa cosa succede, purché ci siano parole utili a descriverlo.
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Immagine di copertina: © Opera di Mauro Biani (https://maurobiani.it), La Repubblica, 19/12/2023, pagina 33.