02 Feb I braccialetti di Amazon sono il futuro professionale che ci attende?
Lo strascico polemico a seguito della notizia sul brevetto del bracciale di Amazon, mediante il quale i dipendenti possono lavorare in modo più rapido e preciso, è arrivato in Italia.
Per Amazon, al pari di ogni altro colosso, depositare brevetti non è un’attività anormale, vengono depositati per segnare (e eventualmente rivendicare in futuro) una proprietà, questo non significa che tutte le idee sottoposte agli uffici di registro verranno utilizzate. Per mantenere lo status quo va anche detto che la stessa Amazon non è nuova all’abitudine di testare direttamente le tecnologie che poi tenderà a diffondere sul mercato.
Il fatto che, in senso più generale, Amazon finisca spesso al centro delle critiche per esigere il massimo dai propri lavoratori sottoponendoli a ritmi serrati e esponendoli a forti stress, ha contribuito a fare il resto, lasciando che l’opinione pubblica si convincesse che con i braccialetti il colosso del retail intendesse caricare di ulteriore stress i dipendenti, arrivando persino a controllarne ogni singolo spostamento, con conseguenti ricadute sulle condizioni di lavoro e sulla privacy.
Temi importanti che non possono essere enucleati a priori ma che, ancora prima di cedere agli allarmismi, devono essere soppesati a dovere.
Nella filiera dell’Impresa 4.0 la logistica è tra i comparti più esposti alla robotizzazione e all’automazione, da questo punto di vista dotare i dipendenti (e non è certo che sarà così) di bracciali che permettono di arrivare in tempi più stretti a reperire il luogo di stoccaggio del giusto prodotto da spedire al cliente finale, in realtà può persino essere salvifico, permettendo ad Amazon di continuare a fare svolgere tali attività all’uomo, riducendo al limite l’intervento e il supporto di una qualsivoglia forma di automazione di tale processo.
Un’altra forte corrente critica sostiene che Amazon voglia trasformare l’uomo in macchina e, per quanto questo non sia lontanissimo dalla verità, è una realtà attuale e complessa che non riguarda solo Amazon ma, al contrario, rientra a pieno titolo nei percorsi di digitalizzazione aziendale e in quelli di conversione all’Impresa 4.0, laddove le mansioni umane vengono convertite in compiti da svolgere in simbiosi con le macchine.
Il vero problema che emerge in quest’ambito non è tanto quello del controllo esercitato sui dipendenti (umani) dai datori di lavoro, quanto quello di creare le condizioni utili a distribuire le competenze necessarie ad interpretare in una veste del tutto inedita il mondo del lavoro. E non c’è dubbio che il braccialetto di Amazon, in questo caso specifico, è solo una traslitterazione dell’enorme vantaggio che certe aziende hanno sul lavoro di domani (inteso come concetto) e di quanto invece gli altri attori coinvolti (Cosa pubblica, scuola, istituzioni e istituti) siano ancora lungi dall’interpretare in modo corretto ciò che il mondo del lavoro si attende dai collaboratori del prossimo futuro.
In ultima analisi, soprattutto nella filiera della trasformazione dei beni, non c’è bisogno di strumenti per monitorare i collaboratori, perché gli obiettivi di produzione vengono imposti dal mercato e le aziende valutano i dipendenti in base alla loro capacità di raggiungere gli obiettivi posti. Questa mentalità – giusta o sbagliata che sia – non viene forgiata da un braccialetto ma, al contrario, forgia casomai la necessità di avere strumenti di controllo come il braccialetto di Amazon, famigerato e temuto ancora prima di essere realizzato.