31 Gen NO
TUTTE LE BRAVE RAGAZZE UCCISE NEL 2023
L’argomento femminicidi si manifesta come tabù a partire dal momento in cui viene raccontato. Una narrazione che non trova un punto di incontro neppure nei numeri, diversi a seconda della fonte interrogata. Ci sono, tuttavia, degli effetti misurabili di una cultura che si manifesta in molti modi, dalla violenza fisica, psicologica e verbale fino al gesto più totale che questa cultura possa generare, l’omicidio.
La questione numerica
A fonti diverse corrispondono numeri diversi. Per l’Osservatorio femminicidi, durante il 2023, ci sono state 120 vittime di femminicidio. Il Viminale redige un rapporto settimanale nel quale indica il numero degli omicidi specificando il genere della vittima e restringendo gi ambiti in cui tali reati si sono consumati, arrivando però a contare 97 vittime. L’assassinio di una donna non coincide per forza di cose con un femminicidio, perché per essere tale servono due condizioni inalienabili:
- il tipo di rapporto tra omicida e vittima (compagno, aspirante oppure ex compagno),
- il motivo che conduce all’omicidio (cultura del possesso, cultura dominante).
Ci si rende conto che non esiste una statistica precisa in materia di femminicidi e ciò obbliga a procedere per esclusione. Scegliendo come riferimento i dati forniti dal ministero dell’Interno (aggiornati al 31 dicembre 2023) si può comprendere meglio la situazione nel suo insieme.
Rendendo i dati vieppiù granulari si parte dalla situazione in cui, nel corso del 2023, le vittime di sesso femminile sono il 36,36% rispetto al totale degli omicidi volontari commessi ma, stringendo il focus, rappresentano il 92,65% degli omicidi commessi da partner o da ex partner.
La questione delle definizioni
Non c’è uno standard nel rilevare i femminicidi perché non esiste una definizione condivisa del femminicidio come tale. Il Codice penale, all’articolo 575, parla del reato di omicidio senza fare distinzioni di genere. A partire dal 2013 si sono susseguiti decreti e leggi che hanno avviato il cambio di passo culturale necessario: tra queste la legge 77/2013, ovvero l’atto con cui il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza sulle donne e il decreto-legge 93/2013 che ha introdotto aggravanti nei casi di omicidio o episodi di violenza e maltrattamenti nella sfera famigliare.
Il 2019 è stato l’anno del Codice Rosso (legge 69) che ha segnato un passaggio importante in favore delle vittime, accelerando l’adozione di misure per la loro tutela e l’avvio di procedimenti penali a carico dei rei. Il Codice Rosso è la necessità espressa dal legislatore di riconoscere nuovi reati, tra i quali il revenge porn, le lesioni permanenti al volto e la costrizione al matrimonio.
La legge 134/2021 ha esteso il raggio delle misure di protezione introdotte dal Codice Rosso e obbliga a informare le vittime dell’avvenuta scarcerazione del loro aguzzino. Con la legge 122/2023, il procuratore della Repubblica può revocare l’assegnazione per la trattazione del procedimento se il magistrato non ha assunto informazioni, da chi denuncia, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.
Gli ultimi eventi sono rappresentati dall’istituzione di una Commissione bicamerale di inchiesta e dall’approvazione della legge “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica” (“disegno di legge Roccella”, 168/2023) che è da intendere come ulteriore atto per contrastare la violenza di genere e la violenza domestica. Diciannove articoli incentrati sulle misure di prevenzione, protezione delle vittime e potenziamento delle misure cautelari per gli aggressori.
Non solo femminicidi
L’omicidio è l’atto più totalizzante di una violenza che si manifesta in molte altre forme: è violenza la costrizione, lo è il ricorso alle parole denigranti, lo è la pressione psicologica così come lo è ogni forma di abuso.
Tra i reati spia figurano anche i maltrattamenti contro i familiari o i conviventi, gli atti persecutori e le violenze sessuali.
Il grafico dei maltrattamenti e degli atti persecutori mostra flessioni e incrementi che si rincorrono vicendevolmente con il passare del tempo. Ciò che però conta, se non altro al fine statistico, è l’aumento dei casi nel corso di un decennio. Si passa dalle 9.713 denunce per maltrattamenti del 2013 alle 19.902 del 2022 e dalle 9.689 denunce per atti persecutori, del 2013, alle 13.817 del 2022.
Le rilevazioni più importanti dal punto di vista culturale sono però nascoste tra i numeri della violenza sessuale, fenomeno che va esaminato comparando gli episodi perpetrati da un solo aggressore con quelli nei quali gli aggressori agiscono in gruppo.
Al di là dei numeri, si nota un andamento speculare tra le violenze sessuali perpetrate da un solo aggressore e quelle di gruppo. Questi dati scoprono il nervo: gli uomini che sono predatori non trovano la propria forza nel branco, non hanno bisogno di essere incitati dalla fenomenologia del gruppo e di quell’escalation adrenalinica che viene scaricata su chi ne fa parte.
Inoltre, restando affini alla sfera dei dati, nel 2018 – secondo dati del Senato della Repubblica, Centro Studi, ripresi da Truenumbers.it – in Italia c’erano solo 17 procure su 138 con un pool dedicato alla violenza di genere e ciò, in numeri assoluti, si traduceva in 455 magistrati altamente specializzati. Sarà interessante monitorare questi numeri alla luce delle leggi di più recente introduzione.
Come se ne esce?
Il problema è culturale e va affrontato con una nuova cultura. C’è molto da fare nelle scuole primarie ma anche nelle università, occorre coinvolgere le famiglie in un processo di cambiamento di prospettive, idee e sentimenti. Una sensibilizzazione che deve uscire dalle mura domestiche. Occorre una società che sappia cogliere i segnali di disagio prima che diventino una violenza alla quale non si può rimediare neppure espiando una pena.