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Due pensieri facili sul body shaming
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body shaming

Due pensieri facili sul body shaming

Legare le parole al loro significato coincide col credere che la parola ‘cane’ morda. Non è il body shaming a meritare attenzione, è l’ottusità di chi ne parla in senso univoco.

Epitetare una persona a causa del suo aspetto fisico è diventato il nuovo mostro da combattere. Nasi e culi grossi, occhi storti, braccia cicciotte… Come se le persone fossero nasi e culi, come se non avessero una memoria, degli affetti, delle prospettive. Come se una persona fosse soltanto il suo corpo.

Mi viene in mente la cultura buddhista nella quale l’assenza di giudizio era radicata: il maestro buddhista non redarguiva i propri allievi quando raggiungevano risultati discutibili e non li esaltava quando i risultati erano apprezzabili.

E la bellezza?

Se il body shaming è da debellare, perché i complimenti sono invece accettabili? Sì, certo, il cat calling, l’atteggiamento che riduce l’essere umano nel suo valore. Ok, ma qui si parla d’altro, il cat calling è opera di estranei che si imbattono con persone dall’aspetto gradevole, qui il tema è sviluppato tra persone che si conoscono: amici, conoscenti, “persone dello stesso giro”.

Esaltare la bellezza di una persona o di un suo tratto, come dovremmo chiamarlo, body exalting? E perché dovrebbe essere accettabile. Chi lo dice che un complimento sia sempre gradito e che un’offesa sia sempre recepita come tale. E se il problema fosse di chi vede un culone o dei glutei perfetti? Ridurre una persona a quelli che crediamo essere dei tratti estetici piacevoli o meno, che senso ha? E perché il body shaming è deprecabile e il body exalting invece no?

Non c’è niente di male, sia chiaro, nel riconoscere la bellezza estetica di una persona, soprattutto se la si intende come armonia del creato (al di fuori di ogni contenuto religioso), il problema nasce quando quella bellezza si intende come qualcosa da circuire, da esternare e in qualche modo da fare propria, da possedere.

Non è lo shaming e neppure l’exalting. È l’apprezzare, il giudicare, è l’etichettare sempre a ogni costo che va combattuto.

Le persone non sono soltanto gli aggettivi che le descrivono ed è proprio l’uso di questa cascata di aggettivi che le rinchiude in muri che non dovrebbero appartenergli né dovrebbero limitarle. Esattamente come le parole non sono il loro significato ma soprattutto la loro significante.

“La parola cane non morde” è un sofismo che implica un cambiamento radicale di prospettiva. Non possiamo combattere ogni attività umana, occorre un atteggiamento cognitivo rinnovato che annienti il nostro, vecchio e superato, atteggiamento mentale.

(Foto: Hanna Postova/unsplash)

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