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Windows 11, cos’è il TPM e perché se ne parla tanto
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Windows 11, cos’è il TPM e perché se ne parla tanto

È la prima volta che un sistema operativo Microsoft esige prerequisiti orientati più alla sicurezza che all’hardware.

I media stanno dando ampio spazio al nascente sistema operativo di Redmond, quel Windows 11 attorno al quale sta crescendo una strepitante e forse ingiustificata attesa, almeno per gli utenti consumer.

La raison d’être di Windows 11 è da ricercare nelle aziende tra i cui corridoi la sicurezza non sarebbe il discorso più gettonato. Nell’83% dei casi di cyber attacco, dice un report redatto da Microsoft, il veicolo di diffusione sono state delle vulnerabilità firmware riscontrate sia nell’hardware di server e computer, sia nell’Industrial Internet of Things (IIoT). Nonostante questo campanello d’allarme, soltanto il 29% delle imprese destina budget alla copertura di queste falle.

Il firmware, una porzione di codice inserita nell’hardware dai produttori, consente l’implementazione di protocolli per la comunicazione tra le diverse componenti di un sistema. Una sorta di piccola finestra non troppo visibile che però permette ai malintenzionati di intrufolarsi nelle case.

TPM, cos’è e come controllare che il nostro pc ne sia dotato

I chip TPM (Trusted Platform Module) sono deputati ad aumentare la sicurezza tra gli elementi hardware di un computer. Quando un computer viene avviato il TMP controlla che ogni singolo componente sia integro e non esposto al pericolo di intrusioni. Non è cosa nuova: i primi chip di questo tipo risalgono al 2006 anche se sono stati predisposti, in principio almeno, su macchine destinate al mercato aziendale.

Ci troviamo così davanti a un cambio di paradigma: se, fino a oggi, l’uscita di nuovi sistemi operativi ha contribuito allo svecchiamento del parco dei computer di aziende e privati, con l’avvento di Windows 11 non saranno le specifiche hardware a decretare l’eventuale dismissione dei pc, ma la loro sicurezza.

Per sapere se i nostri computer sono già dotati di chip TPM, occorre premere contemporaneamente i tasti Windows (quello con il logo caratteristico di Microsoft posizionato sulla tastiera alla sinistra della barra spaziatrice) e il tasto R, per poi digitare tpm.msc nella finestra che si apre e premere Invio.

Dopo qualche attimo si aprirà la console di gestione TPM e, consultando le voci Stato e Informazioni produttore TPM (rispettivamente la seconda e la quarta voce nell’immagine qui sotto), avremo il verdetto, dolce o amaro che sia.

Inoltre, come è solita fare, Microsoft ha reso disponibile uno strumento gratuito (prelevabile qui) il quale, una volta eseguito sul computer, controllerà se lo stesso ha tutti i requisiti minimi richiesti da Windows 11. Dopo avere avviato il tool dalla cartella Download con due click del mouse, sarà sufficiente cliccare sul tasto blu Controlla ora e il responso sarà pressoché immediato.

Da 128 a 4096

Dal mese di novembre del 2006, contestualmente all’uscita di Windows Vista, i produttori di computer hanno un debito di riconoscenza nei confronti di Microsoft, che ha progressivamente incentivato gli utenti a cambiare computer.

Non è un complotto ordito dai piani alti di Redmond, è il segno inequivocabile dei tempi che passano e di sistemi operativi chiamati a sfruttare appieno le sempre crescenti capacità e performance dei dispositivi hardware tra processori, schede video e periferiche.

Agli inizi degli anni 2000 erano sufficienti 128 MB di RAM per fare funzionare in modo abbastanza fluido un sistema operativo, mentre oggi 4 GB sono la soglia al di sotto della quale le prestazioni di un computer con a bordo Windows 10 lasciano a desiderare.

Windows XP, il predecessore di Vista, aveva il pregio di girare su macchine dalle dotazioni modeste. I requisiti minimi richiesti, letti oggi, fanno persino tenerezza: processore da 300 MHz, 128 MB di RAM e 1,5 GB di spazio disco.

Caratteristiche non più sostenute dal decisamente più esoso Vista, il quale richiedeva al minimo un processore da 800 MHz, 512 MB di RAM e hard disk da almeno 20 GB.

Il passaggio da Windows XP a Windows Vista ha obbligato molti utenti a cambiare computer. Lo confermano i dati di mercato dell’epoca: nel 2007 la vendita di pc è aumentata a doppia cifra, oltre il 13%.

Nel 2009 è stato il turno di Windows 7, che richiedeva hardware tutto sommato simile a quello di cui già erano dotati i computer con a bordo Windows Vista: 1 GHz di clock, 1 GB di RAM e 20 GB di hard disk. La prova del nove la danno i dati relativi alle vendite di computer: secondo l’azienda di analisi Gartner, il 2009 è stato un annus horribilis, con vendite in calo fino al 12% definite (guarda caso) un salto a ritroso nel tempo, alla situazione pre-2007.

Windows 8 e 8.x, venuti al mondo rispettivamente nel 2012 e nel 2013, esigevano caratteristiche hardware fotocopia rispetto a Windows 7. Ulteriore dimostrazione: il mercato dei computer ha sofferto parecchio.

I numeri sciorinati fino a qui sono relativi ai requisiti minimi o, detto in termini più papali, sono la dotazione minima per permettere ai sistemi operativi di avviarsi, da qui a farne un uso scorrevole, soprattutto dopo avere istallato altri software e collegato periferiche esterne (come per esempio una o più stampanti), la strada è lunga.

Windows 10, sulla carta almeno, non si è mai dichiarato più esoso in termini di risorse dei suoi immediati predecessori: processore da 1 GHz, 1 GB di RAM e 20 GB di spazio disco (che diventano 32 GB per le versioni del sistema operativo a 64 Bit). Con questa dotazione però l’uso del computer risulta essere un’esperienza per utenti pazienti. L’attuale sistema operativo di Microsoft è, in assoluto, quello con le più ampie differenze tra i requisiti minimi e quelli che ne garantiscono un uso snello, ovvero almeno 4 GB di RAM, processori da almeno 1.7 GHz di velocità di clock e hard disk da almeno 250 GB perché il sistema operativo diventa vieppiù grande con gli aggiornamenti proposti con ciclicità di Microsoft (anche se ci sono tool per fare pulizia) e i software sono sempre più esosi in termini di storage.

Il risultato di questa ennesima richiesta di risorse hardware ha visto un ulteriore aumento delle vendite di computer come non accadeva da anni (dal 2009-2010).

Non solo TPM 2.0

I prerequisiti essenziali per installare Windows 11 sono TPM 2.0 (Microsoft ha corretto il tiro il 27 giugno scorso, escludendo che la versione 1.2 del TPM fosse sufficiente) e almeno processori Intel di ottava generazione o AMD Ryzen 2000 (entrambi del 2017).

Il TPM 2.0 è di norma disponibile su computer costruiti a partire dal 2015-2016. Chi ha macchine antecedenti deve rassegnarsi: è arrivato il momento di separarsene.

Eureka!

Il futuro appartiene al software. Frase ormai inflazionata che rimane vera ma, un software “immerso” nell’hardware, riceve da questo una spinta proporzionale a quanto il software stesso è in grado di sfruttarlo.

Questo non riguarda soltanto server e computer, la prova provata la portiamo in tasca tutti i giorni. I nostri smartphone, per capacità di calcolo e storage, fanno impallidire i computer usati dall’uomo per dare il via alla corsa alla Luna.