20 Feb L’integrazione non è un’opzione
Il tessuto sociale, quello culturale e quello linguistico di ogni nazione sono il frutto di un’evoluzione propria, una sorta di macramè i cui intrecci si perdono nel tempo, tasselli multietnici che con il tempo hanno imparato a convivere nello stesso mosaico. È un percorso inarrestabile che solo in parte si può leggere sui libri di storia, perché il miscelarsi dei flussi migratori raramente merita di essere annoverato nei libri, sono corsi e ricorsi storici che avvengono senza che ce ne rendiamo conto, al netto ovviamente delle migrazioni di massa che guadagnano le prime pagine della cronaca.
La Svizzera non è da meno e l’isolazionismo, la volontà di chiudersi all’interno dei patri confini, il guardare tutto ciò che è diverso come se fosse malato e da evitare, non può fermare un processo lento, a tratti stopposo, che da sempre cambia popoli, culture, nazioni e continenti.
L’integrazione non è questione né di pancia né di razzismo, è una questione assai più delicata che include cultura, criminalità, demografia, religione, politica, tessuto sociale e risposta dello stato.
Un tema tanto vasto che non può, per definizione, essere confinato a uno o a pochi aspetti. Anzi, racchiuderlo in un numero finito di incognite non dà soluzioni all’equazione e utilizzare gli argomenti pressapochisti dei cerchiobottisti che oggi rappresentano la decadenza delle destre induce allo zerbinismo più becero.
I dati forniti dall’Ufficio federale di statistica (Ust) e aggiornati al terzo trimestre del 2016 disegnano una Svizzera multietnica e meticcia.
Ora, senza entrare nel dettaglio dei paesi di provenienza degli stranieri, del loro genere e della loro età, siamo davanti ad uno scenario in cui non è irreale che i nostri figli sposino stranieri e cresceranno a loro volta figli di due culture, di due religioni, di due visioni del mondo diverse se non persino antitetiche. Queste prossime generazioni di uomini e donne – che forgeranno la Svizzera di domani – non possono essere fermati come navi al porto o treni alla frontiera, si inseriranno nella società con la stessa spontaneità con cui ci siamo inseriti tutti noi.
Cosa ci sta dicendo la destra di questi ultimi decenni? Che i figli di un solo genitore svizzero conteranno meno degli altri? Che quando lo “svizzero puro” sarà disperso e sofisticato da sangue e DNA diversi la destra più becera non avrà più modo di esistere perché si sarà auto-fagocitata e non avrà più una “razza” da difendere?
L’integrazione non è un’opzione, è la naturale evoluzione dei popoli. E questa destra, così priva di valori, così urlatrice e fatiscente, dimostra solo di non potere governare. Perché prendere in mano le redini significa lavorare soprattutto sul lungo periodo e non vivere alla giornata. Preparare il dopodomani e non il domani, costruire autostrade che portano lontano e non selciati che arrivano al portone di casa. Queste destre così isteriche e destabilizzate non hanno ancora capito che si stanno scavando la fossa da sole. E pretendono di insegnare a tutti cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.